Riflessioni sul tema della morte, contro i giustizialismi. Caravaggio, condannato a morte per aver commesso un omicidio, si identifica in Golia. E’ un punto di vista decisamente scomodo e inusuale, che ribalta del tutto le vicende della kalokagathia così come dalla classicità in poi si era andata affermando nel mondo dell’arte…
Caravaggio, Davide e Golia, 1610, Roma, Galleria Borghese
MONDO CLASSICO. Una morte ‘bella’ in senso classico (καλὸς καὶ ἀγαθός) è quella del Galata morente, opera ellenistica che conosciamo nella copia romana dei Musei Capitolini di Roma. Le armi al suo fianco ci parlano di un uomo che ha combattuto: va in scena la morte di un guerriero, di un eroe, anche se nemico e sconfitto. Rivive qui tutto il mondo epico dei poemi omerici, fondativo della cultura greca che sarà poi trasferita a Roma.
MONDO MEDIEVALE. Il Compianto sul Cristo morto di Giotto a Padova (1303-05) è tra le opere più alte dell’umanesimo medievale. Intorno al corpo morto di Cristo esplode il pathos cristiano, che si manifesta nei gesti accorati degli angeli in volo, nelle braccia allargate del giovane Giovanni, nella composta disperazione delle pie donne e soprattutto negli occhi aguzzi, lancinanti della Madonna che non si rassegna alla morte del Figlio. E’ questa la risposta cristiana al καλὸς καὶ ἀγαθός classico: il corpo di Cristo è bello, naturale.
RINASCIMENTO. Con la Maddalena (1455 ca.) ora al Museo dell’Opera di S. Maria del Fiore a Firenze, Donatello rompe gli schemi della bellezza classica. Con sensibilità moderna, affronta il tema della bellezza interiore, spirituale, che non può essere sopraffatta e annullata dalle apparenze. Maddalena, la peccatrice un tempo bella e ammaliatrice, ora che la vecchiaia ha deturpato il suo corpo con segni evidenti, trova negli insegnamenti cristiani la propria forza e la propria bellezza. Dalla bocca semi-dischiusa, deturpata, sdentata, esce flebile il suono di una preghiera.
MICHELANGELO. Il tema della morte accompagna il grande artista lungo tutta la sua lunga vita artistica. In particolare si manifesta nel soggetto cristiano della Pietà, qui illustrato dalla giovanile Vaticana (1497-99) e dalla Rondanini (dal 1555), l’ultima opera alla quale l’artista ha lavorato fino a tre giorni prima di morire. Due opere paradigmatiche: la prima del fervore giovanile con il quale il fiorentino dialoga con l’arte classica, stella polare di un Rinascimento in questo momento energico che ha spazzato via il ‘buio’ del Medioevo (ne è eloquente riferimento la bellezza fisica e atletica del corpo nudo di Cristo abbandonato nel grembo materno); la seconda del tramonto di quello stesso mondo, ora che tutto è cambiato con le scoperte geografiche, l’universo copernicano, la riforma protestante, la vecchiaia che incalza l’artista. E allora ecco il colpo di genio del grande Michelangelo: il non finito di un marmo lavorato in modo brutale, espressionistico, arcaico: non più la bellezza della superficie, ma quella intima e commovente dell’interiorità: recuperato il Donatello dell’espressionistica Maddalena, qui nasce l’arte moderna.
I David di Donatello e Michelangelo. Due opere simbolo del Rinascimento fiorentino: il David bronzeo di Donatello, che era collocato nel cortile di Palazzo Medici; il David marmoreo di Michelangelo, davanti a Palazzo Vecchio con significato anti-mediceo, simbolo di libertà. In entrambi i casi per Golia non c’è spazio; anche il suo capo mozzato ai piedi dell’eroe donatelliano non riesce ad emergere nella narrazione complessiva.
SEICENTO. 1610 circa: Caravaggio. 1623-24 circa: è la volta del più grande artista del Seicento, Gian Lorenzo Bernini, ad occuparsi dello stesso soggetto biblico. In entrambi i casi ci sono cenni autobiografici: nella testa del David marmoreo è stato ravvisato l’autoritratto dell’artista, mentre Caravaggio sarebbe presente addirittura due volte, giovane nel volto di David, sopraffatto dagli anni e da una vita maudit in quella di Golia. Ormai è finito il tempo rinascimentale dell’uomo “centro dell’Universo”, “misura di tutte le cose”. Il David del Bernini lotta, si avvita su se stesso, stringe i denti mostrando un volto deformato dallo sforzo: non sa, e con lui noi non sappiamo, come andrà a finire nella lotta contro il gigante. Il David di Caravaggio si fa addirittura da parte per lasciare il posto d’onore a Golia.
Gli occhi del giovane sono lacrimosi. Il volto è serrato, teso. Ora che l’impresa di uccidere il liberticida è stata portata a termine, con il concorso dell’aiuto divino (sulla lama si legge “H-AS OS”, sigla che riassume il motto agostiniano “Humilitas Occidit Superbiam” – l’umiltà uccise la superbia), quello che rimane è tutta la debolezza del giovane, quanto mai eroe ‘per caso’ e umilissimo servo della parola di Dio. Riconosciamo in quello sguardo i segni della pietas cristiana, gli stessi che più di un secolo prima ci aveva sollecitato a mettere in atto Donatello di fronte al corpo martoriato dagli anni e dalla vita della Maddalena lignea.
Eccolo. Povero Golia… Povero Golia? Ma lui non era il gigante, il liberticida, il losco figuro che tiranneggiava il popolo d’Israele costringendolo a vivere nel terrore? Caravaggio si è presa “la licenza che si pigliano i poeti e i matti”, come qualche anno prima aveva dichiarato di sé Paolo Veronese davanti al Tribunale dell’Inquisizione per difendere la sua Ultima Cena. E con la libertà dei matti e dei poeti Caravaggio rovescia il tavolo: io, assassino, laido, maledetto, ripugnante agli occhi del mondo; io, Michelangelo Merisi da Caravaggio, colpevole del crimine più atroce, indifendibile, corrotto, non sono forse, comunque, un uomo?
Silvia Mauro
Posted at 18:42h, 24 FebbraioStraordinario pezzo! Grazie, appena tornata dalla Galleria Borghese.
admin
Posted at 09:09h, 25 FebbraioGrazie davvero!